La tartaruga rossa


Non dimentichiamoci dell'animazione! 
Ogni anno agli Oscar si fanno grandi scoperte se si esplorano i candidati di questa categoria. Basta pensare a titoli come Anomalisa, l'animazione per adulti che più mi sconvolse l'anno scorso, animazioni d'autore, prestigiose e non per tutti, oppure alle più immediate opere Disney contemporanee che sono passate alla storia, come ad esempio Alla ricerca di Nemo (2004), Ratatouille (2008), WALL.E (2009) ed Up (2010). In gara poi, come ogni anno, spiccano titoli firmati Studio Ghibli, per cui, come sapete, nutro un amore smoderato, e anche qui gli appassionati e non solo ricorderanno La città incantata (2003) ed altri titoli che, a mio avviso ingiustamente, non sono stati premiati, come Si alza il vento nel 2014, battuto da Frozen, ovvero uno dei più banali e commerciali Disney degli ultimi dieci anni.
Ma lo Studio Ghibli non demorde; con a capo il maestro Hayao Miyazaki che alla veneranda età di 76 anni crede ancora in un prossimo progetto, lo Studio prosegue lentamente, dando vita a piccoli gioiellini come La storia della principessa splendente. E quest'anno lascia comunque il suo zampino Isao Takahata (81 anni), cofondatore dello Studio, che ritroviamo come produttore artistico in quest'animazione franco/belga.


Un uomo, dopo essere sopravvissuto ad un naufragio, si ritrova da solo su una piccola isola deserta dove inizia una lotta per la sopravvivenza. Tenta più volte di abbandonare l'isola ma ogni volta viene boicottato da una grande creatura marina, una stupenda tartaruga rossa. E' in quel momento che l'uomo capisce di avere un destino diverso.

Parlando di stranezze, La tartaruga rossa potrebbe essere paragonata al sopra citato Anomalisa, vuoi per complessità della comunicazione, per lo stesso pubblico adulto a cui viene dedicato, per le tematiche o per un'animazione sobria ma dalle immagini fortissime. E' un film inteso di un'ora e venti completamente muto, se non fosse per pochissimi versi o risate dei protagonisti ed è incredibilmente evocativo.
Tanto per iniziare, ha un'animazione molto minimalista, un misto tra digitale e carboncino dai colori sgargianti che già da sola basterebbe per lasciare a bocca aperta, la gestualità è molto curata, di questi tempi un vero balsamo per gli occhi. Per quanto riguarda le tematiche, sinceramente all'inizio lo avevo sottovalutato, anche perché non sapevo benissimo a cosa stessi andando in contro, perciò mi ero fatta un'idea diversa, mentre invece più va avanti e più diventa divertente cercare di capire quale messaggio racchiudeva ogni singola scena, tanto che probabilmente richiederebbe una seconda visione.


Questo è uno di quei film che racchiude tutta la tenerezza ed i valori che ai giapponesi non mancano, ma in un contesto decisamente diverso da quello al quale siamo abituati con lo Studio Ghibli, un contesto molto più reale, pur lasciandoci sempre il proprio stampo surreale e magico. Non si parla di tematiche qualsiasi, ma delle più importanti; amore, morte, vita, solitudine e la crudeltà della natura, un insieme di voci che solo un'animazione poteva condensare in un'unica opera. 
Ad allietare i momenti meno spensierati della narrazione ci sono simpatici compagni di viaggio, creature che popolano l'isola, a partire dalla tartaruga rossa, naturalmente, semplice e a dir poco stupenda, ma anche insetti e simpatici granchietti che rubano sempre un sorriso.
Ci tengo a sottolineare l'incredibile equilibrio che de Wit è riuscito a creare tra un'animazione delle più serene e semplici che abbia mai visto e la portata emotiva della narrazione, nell'animazione è decisamente una delle prove più complesse che abbia visto fino ad oggi, e che è riuscita ad emozionarmi più volte durante la visione, ripeto, senza nemmeno un solo dialogo.
Non è una visione semplice, bisogna affrontarla con questa consapevolezza, ma posso garantirvi che ne uscirete arricchiti, se non altro perché l'impegno e la dedizione che stanno alle spalle sono lampanti.

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